Negli anni 60 incomincia ad interessarsi all’utilizzo dell’elettronica nella musica contemporanea. Come nasce questo interesse per qualcosa che all’epoca era pura sperimentazione? La risposta è strettamente collegata a una presa di coscienza circa l’evoluzione del linguaggio musicale occidentale. Dopo Webern, che applicava con metodo rigoroso la tecnica dodecafonica di Schoenberg, il linguaggio musicale occidentale era giunto al suo limite. Si poteva asserire che i 12 suoni della gamma temperata avessero esaurito la loro funzione. Sono anni nei quali si sentiva parlare di esperimenti con apparecchiature elettroniche che forniscono la possibilità di spaziare su tutte le frequenze udibili, cioè una gamma praticamente infinita di suoni, con disponibilità di controllare esattamente l’altezza, l’intensità, la durata e la formazione dello spettro sonoro, ossia il timbro. È in questo contesto che rivolgo la mia attenzione alla nascente musica elettronica. A cavallo degli anni sessanta fonda lo Smet e lo Studio di Informazione Estetica.
Come lavoravano e come erano organizzati?
All’inizio degli anni ’60 a Torino si nota un interesse per il movimento “strutturalista”. Già stavo sperimentando un metodo di organizzazione sonora basato su uno schema grafico geometrico. Con alcuni
amici, fra i quali il pittore Sandro De Alexandris, il poeta Arrigo Lora Totino e l’architetto Leonardo Mosso fondiamo lo “Studio di Informazione Estetica”, con lo scopo di creare un centro per presentare opere di carattere strutturale e compiere studi interdisciplinari. In questa contesto comincio ad estendere la mia ricerca alla correlazione fra suono e immagine, prendendo in considerazione lo schema geometrico come base per operare contemporaneamente nei due campi. Inoltre organizzo un corso di Musica Elettronica gratuito, mettendo a disposizione dei giovani interessati le mie apparecchiature e il mio metodo di sperimentazione. Queste esperienze sono pubblicate nel libro “Due Scuole di Musica Elettronica in Italia”. Come era in quegli anni l’ambiente accademico musicale? Oggi, forse a torto, siamo abituati a pensare alla struttura del conservatorio come ad un’entità poco aperta alle innovazioni, più radicata alle tradizioni che alla ricerca, mentre allora accolse il suo studio guardando al futuro… Dal 1954 sono docente di Cultura Musicale Generale presso il Conservatorio “G. Verdi” di Torino. Il Ministero della Pubblica Istruzione, a conoscenza della mia attività nel campo della musica sperimentale, nel 1968 mi invitava, con l’autorizzazione del Direttore, a fare un corso sperimentale di Musica Elettronica presso il Conservatorio di Torino, che, dopo quello di Firenze, è il secondo Conservatorio d’Italia ad aver iniziato la didattica in questo campo.
Parte del suo lavoro è basato su un processo compositivo relazionato alla geometria euclidea, o a elementi matematici… cosa significa esattamente? Che “strumenti” utilizza per le sue composizioni? Quanto è il prodotto della macchina e quanto quello della sensibilità dell’uomo?
L’elemento strutturale che ho utilizzato per i miei lavori (e che ho ripreso dopo una
parentesi di libera creatività), nasce dalla necessità di coordinare l’uso dell’immenso panorama sonoro offerto dagli apparati elettronici. C’erano due possibilità di approccio: affidarsi al puro estro,
adattando i nuovi suoni sulla base di supporti puramente sensoriali, oppure procedere con un certo ordine per controllare la nuova materia sonora e sperimentarne i risultati, frutto di una ricerca. Solo in seguito, dopo aver acquisito una certa esperienza, procedere con maggior libertà. Ho adottato la seconda ipotesi. In cosa consista la struttura di base costituita di una figura geometrica euclidea non è facile spiegarlo in poche parole. Cerchiamo! Prendiamo per esempio un triangolo equilatero. Dividiamo ogni lato con 9 punti a distanza regolare. Abbiano in totale 27 punti. Ad ogni punto facciamo corrispondere: una frequenza, cioè un suono a nostra scelta; un’intensità, sempre a nostro piacimento; un timbro, onda sinusoidale, o triangolare, o quadra, o a rampa. L’interno della figura è percorso da un tracciato di libera scelta, cioè da un insieme di rette che collegano i vari punti inseriti nei tre lati della figura. Queste rette risultano di diversa lunghezza. La lunghezza della retta che collega il punto di un lato ad un punto di un altro lato, misurata in millimetri, ci dà la durata del suono, attribuendo ad ogni millimetro, per esempio, un secondo. Percorrendo tutto il tracciato interno dalla figura si ottiene una successione di suoni differenti in altezza, intensità, durata e timbro, che è alla base del progetto sonoro. Visto che il tracciato può avere come inizio un punto qualsiasi dei 27, si possono avere varie letture del progetto, che, se con discrezione si sovrappongono, danno origine ad una polifonia. Questo è il principio base, ma si possono fare tutte le varianti che si vogliono, sia nella scelta della figura sia nella sua organizzazione strutturale interna e nell’individuazione dei parametri sonori. Per esempio nel corso delle mie esperienze ho inserito in ogni punto della figura non un solo suono, ma una cellula sonora più complessa, come un breve ritmo e un accenno di melodia, oppure un impasto timbrico più elaborato. Insomma tutto dipende dalla creatività. Lo schema generale non è che una piattaforma di base. Originariamente gli strumenti che ho usato erano oscillatori, in parte costruiti da me stesso. Oggi sul mercato c’è un’infinità di scelta per accedere a suoni elettronici. In diverse tappe della sua carriera ha sviluppato produzioni artistiche che, anche se lontane dalla composizione musicale, ne sono sempre state legate: installazioni, sculture, video pittura, video arte.
Vuole parlarne?
Come ho già accennato, l’esperienza strutturalista l’ho estesa all’interdisciplinarietà, usando la stessa struttura di base da adattare a soggetti visivi come sculture, oggetti cinetici, ecc. Ho anche realizzato con il pittore Antonio Calderara un’esperienza in comune. Intorno agli anni ’70 ho compiuto una svolta, dovuta anche all’apparizione sul mercato dei sintetizzatori, dedicandomi alla libera creatività. I primi sintetizzatori non erano come quelli attuali destinati alla musica di consumo, ma erano degli studi di musica elettronica in miniatura, che offrivano la possibilità di fare musica elettronica dal vivo. Ho lavorato parecchio in questo campo, abbinando anche i suoni elettronici alla voce umana e scrivendo partiture particolari. Poi ho esteso l’attività all’uso della telecamera, riportando in video alcune mie composizioni per voce e sintetizzatore. In seguito ho sviluppato quella che ho denominato “video pittura”, cioè riprese con la telecamera, poi elaborate elettronicamente, sempre collegata ad un fatto sonoro. Dalla metà degli anni novanta ho ripreso lo schema geometrico per elaborare al computer immagini e suoni. Ad ogni punto della figura geometrica attribuisco un’immagine e un suono o una cellula sonora, che si evolvono nel tempo secondo lo schema di base. Il risultato è quello che definisco “Il quadro del 2000”, cioè immagini in movimento, abbinate alla musica, che nel corso della giornata sono in continua evoluzione. Non più il quadro statico, ma una visione che si dipana nel tempo, come la musica.
Negli ultimi mesi è uscito il suo lavoro “Musica Reticolare” per la prestigiosa etichetta Die Schachtel. Come nasce questo progetto?
La “Musica Reticolare” riguarda le mie prime esperienze fatte negli anni 60, nelle quali applicavo esclusivamente l’elaborazione della figura geometrica. Il Progetto Tr.e.27 si riferisce appunto al triangolo equilatero con 27 punti o frequenze. Da anni ormai si dedica anche alla reinterpretazione di brani classici con strumenti elettronici.
In cosa consiste questa tecnica?
Avendo un’esperienza pianistica, ho voluto sperimentare se fosse possibile utilizzare i suoni campionati forniti dai nuovi mezzi elettronici per ricreare delle interpretazioni pianistiche. Poiché il virtuosismo tecnico viene superato, l’attenzione è rivolta alla scrupolosa lettura dello spartito, alla nitidezza dell’esecuzione e, in base alla propria sensibilità e capacità, all’interpretazione. A mio avviso, l’utilizzo di questa possibilità, potrebbe dare al dilettante il piacere di esplorare personalmente un vasto repertorio musicale senza la preoccupazione tecnica e con risultati talvolta soddisfacente.