The Wire 223, June 2004 - Outer Limits, by Jim Haynes, page 73
On Air is a thoroughly impressive document from one ofthe most innovative sound installation artists of our time. Alternatively titled Magnetic Air, Christina Kubisch's installation (1982-86) involved variable, labyrinthine paths of magnetic induction wire, which broadcast her electroacoustic compositions via special earphones worn by the audience. Depending on the listeners' position within the exhibition space, they wouid hear a constantly evolving crosspollination of Kubisch's scores. Kubisch offers a glimpse ìnto the experience ofthose installations with a charming QuickTime video and an interactive piece of Flash animation. Not only were her installations well executed, their content was equally deft. Her deconstruction of cheap Casiotone and Speak 'N' Spell vocals puts the current roster of kiddietronica ironists to shame.
However, more minimalist arrangements are her stronger suit. "Circles" couples steady pulsations of electronic tones harmonising with extended notes from her flute, while "Djungle Walk" ripples with unnerving cyclical patterns and seasick squawking, which give way to a glistening vibrato of tape manipulated flutes. Quite simply, wonderful.
All about Jazz, June 2004 - by Ermes Rosina
L'etichetta Die Schachtel continua a farsi apprezzare per l'alto livello raggiunto tanto dalla "forma" quanto dal "contenuto" delle sue produzioni. Con la terza uscita, infatti, si aggiunge un accuratissimo CD/CD-ROM dedicato all'arte di Christina Kubisch alle due precedenti produzioni.
Queste consistevano in Lp a tiratura limitata che, oltre a permetterci la riscoperta di personaggi entrati nella storia della musica elettronica italiana (e non solo) come Piero Grossi e Enore Zaffiri, colpivano l'attenzione per l'eccellente qualità della grafica, del supporto vinilico, delle informazioni accluse.
Tra l'altro, per non smentirsi, la label milanese ha ora meritoriamente pubblicato un'edizione in vinile trasparente del CD-audio, in soli novantanove esemplari, numerati, decorati (ognuno con un differente disegno) e firmati dalla mano dell'artista: lungi dall'essere oggetti per un culto feticistico fine a se stesso, si tratta di un'ulteriore testimonianza concreta di una poetica originalissima. La musicista (o, come usa dirsi non senza ragione, sound artist) di Brema ha evitato di tradurre in composizioni per le tradizionali sale da concerto la sua solida preparazione accademica (studi di musica elettronica e composizione, tra gli altri, con Franco Donatoni e Mauricio Kagel), ma ha presto maturato una sensibilità particolare per la registrazione e la rielaborazione di suoni d'ambiente e verso nuove modalità di diffusione dei materiali così "composti" nell'ambiente di volta in volta disponibile. All'attenzione per l'elemento sonoro - documentata, per forza di cose in maniera parziale, su CD's pubblicati principalmente dalla Edition RZ e dalla Ampersand (che ha ristampato alcune performances multimediali con Fabrizio Plessi) e su compilations sparse tra piccole etichette - si è affiancata da almeno un ventennio, la ricerca sulla luce, in particolare sui raggi ultravioletti, via via integrata nelle più recenti installazioni realizzate in tutto il mondo e nei luoghi più svariati (parchi, giardini, magazzini e molti altri).
Torniamo, però, a On Air, emblematicamente sottotitolato Sei temi sullo spazio aperto. Il lavoro, presentato nel mese di marzo negli spazi della galleria torinese E/Static, contiene, con l'aggiunta di un remix, materiali risalenti a installazioni dei primi anni '80 e usciti su rare cassette per la Melania Productions, l'etichetta personale della Kubisch (il cui nome riprendeva affettuosamente quello della sua gatta). Con l'uso ingegnoso di tecnologie oggi obsolete (due registratori Revox, un sintetizzatore EMS, due microfoni e altre apparecchiature elettroniche di propria invenzione) l'artista capta, manipola e assembla suoni provenienti dalle fonti più disparate: dalla voce recitante - decostruita e resa quasi afona - del compositore Giuliano Zosi, a suoni recuperati dalla radio, dal telefono, da tergicristalli amplificati con microfoni a contatto, e altri ancora, più "naturali", come le fusa di Melania, catturati con un semplice registratore portatile. A colpire è l'impressione di assoluta organicità e trasparenza di ciascun brano: l'eterogenea abbondanza del materiale di partenza si fonde in sette sculture sonore ciascuna dotata di un'identità e di una coerenza interna affatto peculiare. Nell'iniziale "Djungle Walk", un glissando, marciando e rifrangendosi incalzante fra intervalli via via più acuti, ci introduce in un'affascinante passeggiata sonora: lungo il percorso si avvicendano curiosi volatili dal canto stridulo, giganteschi e rumorosi sciami di insetti, strani e inauditi - ma discreti, in mezzo a tante voci - incroci sonori fra mondo naturale e intelligenza artificiale. Si susseguono paesaggi delineati in chiaroscuro, dove dominano, con contrasti mai troppo netti, ora colori plumbei e austeri, ora luminescenze astratte e rassicuranti per il nostro passo incerto.
Un passo che assume, improvvisamente, le sembianze di meccanici ritmi electro- dance, in "Speak and Spell", su cui la Kubisch incastona, con insospettato spirito ludico, i ripetitivi fonemi estratti da un primordiale programma per l'apprendimento dell'inglese tramite computer, spezzando poi l'ossessività in un fitto gioco contrappuntistico tra frammenti di suoni e voci. Non mancano altre sorprese, come i sussurri che sembrano vibrare fantasmatici attraverso i muri del nostro apparato uditivo - del resto, "anche i muri hanno orecchie", ci ricorda l'autrice, riprendendo, con arguto slittamento di senso, l'antico proverbio - nell'aria aperta di un mondo sonoro libero e aperto all'interpretazione (nel senso più lato del termine, come si vedrà) dell'ascoltatore. Basterebbe la pregnanza evocatrice di questi suoni a offrirci un'idea sufficientemente precisa delle intenzioni che animavano le installazioni nel contesto delle quali erano inseriti: la costruzione di una relazione inscindibile fra il suono e lo spazio circostante, dal quale il primo trae origine, e nel quale viene proiettato, la restituzione all'ascolto del suo ruolo centrale e della sua dimensione prettamente individuale. I files multimediali sono indispensabili a completare il quadro, illustrando il procedimento di attuazione del progetto con informazioni e immagini relative a varie installazioni: l'attenzione si concentra in particolare - con l'aggiunta di un contributo filmato di quindici minuti - su quella realizzata nel 1984 negli affascinanti ambienti del toscano borgo medievale di Gargonza. Qui i suoni su nastro venivano diffusi attraverso 3000 metri di cavo elettrico e mixati da ciascun componente del pubblico, nel momento stesso in cui li riceveva attraverso speciali cuffie magnetiche appoggiate alle orecchie, grazie alle variazioni determinate nel campo magnetico dei cavi dal proprio movimento lungo dodici percorsi "sonorizzati". Tramite una mappa interattiva si accede a una descrizione dei luoghi e dei suoni utilizzati (che è anche possibile ascoltare): non si può non restare rapiti, pur in assenza di un riscontro in loco, dal canto trasfigurato delle campane della pieve, dal respiro notturno che esala il pergolato, dalle voci mormoranti tra i muri dell'essiccatoio in rovina."On Air", a vent'anni esatti di distanza, ci invita a riflettere - non in astratto, ma tramite la concretezza dell' appassionato lavoro artigianale di un'artista e di una piccola casa discografica - sull'ascolto, sulla sua natura intima e personale, ma al tempo stesso strettamente connessa all'ambiente in cui si svolge e - ultimo ma non meno importante aspetto - sulla sua valenza creatrice.
BlowUp, June 2004 - by Gino Dal Soler
E' un'importante ristampa questa della Die Schachtel. Uno perché "On Air" uscì soltanto come cassetta autoprodotta dalla stessa artista negli anni ottanta e a tiratura assai limitata; due perché coglie Christina Kubisch in un momento particolarmente felice delle sue installazioni realizzate in Italia ed Europa in quel periodo (1980-84). Andatevi a vedere in proposito, dopo aver ascoltato il disco, anche i 15 minuti video catturati nel piccolo borgo medievale di Gargonza in Toscana. Ne osserverete anche il magico aspetto visuale, oltre al suono. Si perché fin dalla fine dei 70, la Kubisch aveva mosso i primi passi nella creazione di ambienti sonori, dove il pubblico fosse in grado di muoversi in piena libertà. Gli anni in cui iniziò anche ad esaminare la relazione tra spazio e suono, attraverso l'uso di cavi ad induzione magnetica e speciali cuffie, in grado di creare una perfetta sintonia tra musica ed ambiente. Muoversi come il bambino nel video tra cavi elettrici e scoprendo ad ogni passo nuove possibilità sonore, era parte non indifferente dell'arte incantatoria di Christina, che nonostante i pochi mezzi e strumenti a disposizione, riuscì comunque a tessere una magica ragnatela di
suoni, o forse meglio un misterioso labirinto di sonorità sempre sul punto della sorpresa. Magari soltanto con l'aiuto di due revox, un synth EMS comprato da Alvin Curran, due microfoni e qualche altro aggeggio elettronico autocostruito, più svariati oggetti sonori, dai tergicristalli alle fusa, del proprio gatto, dalle trasmissioni radio ad amplificatori telefonici. Il mixaggio finale avvenne poi in uno studio professionale ed i pezzi trasferiti su quattro od otto pisce. Tutto in diretta e con poco tempo a disposizione. Perché tutto si giocava con mezzi di fortuna e con l'aiuto di amici. Era il periodo in cui a Milano c'era una scena assai fervida nell'ambito della sperimentazione elettronica, cui anche la Kubisch s'inserisce felicemente. Nacquero collaborazioni estemporanee e scambi d'idee con Raffaele Serra, Riccardo Sinigaglia, Davide Mosconi, i ragazzi dell'etichetta ADN, per citare quelli a noi più cari. Poi Christina proseguì per altri lidi e direzioni sonore. Mai tuttavia meno che affascinanti. (8)