David Toop - the Wire 259, September 2005
There is only so much room in one life for drones. My full-up level is close to being exceeded, but I'm happy to squeeze in this historic example from Italy. Marino Zuccheri was the recording technician at RAI Studio of Fonologia in Milan. Directed by Bruno Maderna and Luciano Berio, the RAI studio was a hugely important landmark in the evolution of electronic music. Two of the first electronic works in my record collection - Berio's Visage from 1961, and John Cage's Fontana Mix from 1958 - were created there with Zuccheri. Even today, both of these pieces sound impressively vivid and dynamic, and what we should now recognise is that such qualities should be attributed to the technician as much as to the composer. Recording engineers are notorious for diverting their own talents to the service of others, perhaps losing any sense of personal aesthetic in perpetual concentration on the details of this deflected creativity. Zuccheri appears to fit the profile: Parete 1967, composed for painter Emilio Vedova for the Italian Pavilion at Montreal Expo, 1967, was his only known work. Vedova was an abstract expressionist or so-called Informalist whose violently executed paintings were full of political outrage. For his installation in Montreal, he made a light collage using glass slides, projected into an asymmetrical space. Luigi Nono was his first choice as composer, but Nono's schedule prevented that, so Zuccheri stepped in to assemble a 30 minute continuous work using previously recorded sounds built up from long intersecting tape loops. Zuccheri's modest opinion of himself was that he was no composer. Certainly there's very little sense of form in Parete 1967, but the dramatic contrasts of harsh noise, perhaps sourced from piano strings and struck metal, and shifting, modulating drones suggestive of vocal choruses, have something in common with the ritualistic side of Iannis Xenakis, or the best horror movie soundtracks. To the regret of his label Die Schachtel, who have produced another of their sumptuous limited edition vinyl releases here, Zuccheri died before seeing the publication of his only record.
E.G. - Sands - Zine
La storia:
Nel 1967 fu chiesto a Emilio Vedova di realizzare un’opera per il Padiglione italiano dell’esposizione di Montreal. L’opera realizzata da Vedova - “Spazio/Plurimo/Luce” - aveva come tema la Resistenza, e consisteva in un complesso sistema di proiezioni regolato elettronicamente. Data la poca tolleranza al calore da parte delle diapositive, che dovevano essere sollecitate per sei mesi con una continuità di 10 ore al giorno, l’artista veneziano utilizzò delle lastrine di vetro realizzate facendo uso di tecniche di lavorazione eterogenee ed esclusive. Si trattò di un lavoro imponente, e Vedova chiese a Luigi Nono se poteva realizzare la parte sonora dell’installazione. Il musicista rinunciò all’incarico e consigliò a Vedova di rivolgersi a Marino Zuccheri, che a quel tempo era impiegato come tecnico allo Studio di Fonologia della RAI di Milano. Zuccheri, che non era un compositore, accettò, ma chiese a Nono di poter utilizzare dei suoi materiali di scarto giacenti presso lo Studio. Quindi riorganizzò il materiale, utilizzando anelli di nastro mandati in loop e intersecantesi fra se, giungendo infine alla realizzazione di Parete 1967.
La composizione:
È comprensibile, già dalla storia della sua progettazione, come Parete 1967 sia una composizione a carattere circolare, funzionale soprattutto ai giochi dell’installazione audio-visiva. Il suo ascolto, estrapolato da quel contesto, ha soprattutto un valore documentaristico ...e pure questo sontuoso cerchio di suono che contiene, intrinseci, elementi di proto-industrial e proto-dark-ambient, riesce a trascinare l’ascoltatore all’interno del suo vortice, anche se mi riesce difficile, a partire dal solo ascolto, riuscire a immaginare come poteva essere l’interazione fra questi suoni e le immagini di Vedova, e fra questi due elementi e i visitatori dell’esposizione.
Le riflessioni:
Però è bene fermarsi un attimo a esaminare Parete 1967 con l’occhio della contemporaneità, e in tal senso mi sembrano, come minimo, stupefacenti le indicazioni deducibili da questa prima, ed unica, composizione sonora di Marino Zuccheri.
Se è vero che la meccanizzazione ha appianato le differenze fra musicista e tecnico, è altrettanto vero che all’epoca di queste registrazioni non erano molti gli esempi concreti di una simile metamorfosi. Marino Zuccheri era ‘il tecnico’ dello Studio di Fonologia, e pure, stando alle parole di Umberto Eco, era anche ‘uno dei compositori elettronici più eseguiti al mondo’. Questa compenetrazione di ruoli, fra tecnico e musicista, si è sviluppata fino alla comparsa di una nuova figura, difficilmente definibile sia come tecnico sia come musicista, per la quale dovremo trovare, prima o poi, una nuova designazione.
L’altro elemento precocemente presente in Parete 1967 riguarda l’argomento della ‘variazione’, oggi impropriamente denominata remix, relativamente al contesto della musica elettronica, e a quello dei processi meccanici di registrazione in generale. Il materiale sonoro utilizzato in Parete 1967 è di Luigi Nono, ma Parete 1967, risultato di un lavoro di ‘variazione’ su quel materiale sonoro, è a tutti gli effetti una composizione di Marino Zuccheri.
Un'ultima considerazione riguarda lo Studio di Fonologia della RAI di Milano, che ha chiuso i battenti nel 1983, una struttura che ha svolto un ruolo importantissimo nella sperimentazione sonora di quegli anni e presso la quale hanno lavorato musicisti come Bruno Maderna, Luciano Berio, Luigi Nono, John Cage, Henri Pousseur, Vladimir Ussachevsky, Franco Donatoni e molti altri. Quello svolto dallo Studio è un ruolo positivo, pur fra mille problemi e contraddizioni, che getta una luce ancor più sinistra sulla totale assenza dimostrata in tempi recenti dalle istituzioni italiane per quanto riguarda la sperimentazione sonora. E pensare che solo pochi giorni fa lodavo la Fonoteca Municipale di Lisbona che ha preso parte attiva alla realizzazione di “35 Mutant Seconds: Based On Rafael Toral’s Creamy Burst”…
Al lettore trarre le conclusioni di quanto scritto, e al lettore il compito di decidere l’occhiello che, per una volta, preferisco lasciare in bianco.
Ps: proprio in concomitanza con questa recensione la Die Schachtel ha annunciato anche un’edizione del disco limitata a 67 copie numerate, la cui custodia, confezionata manualmente, riproduce una bobina per nastro magnetico d’epoca. Ulteriori notizie potrete trovarle nei prossimi giorni nel sito web dell’etichetta che vi invito a visitare.